Grazie Presidente, Signor Ministro, Onorevoli colleghi, siamo finalmente giunti alla discussione e all’approvazione del Disegno di Leggesul Federalismo Fiscale.
Utilizzo, non a caso, la parolaFINALMENTE. Il Federalismo Fiscale arriva infatti in quest’Aula, con oltre 7 anni di ritardo. Tanti ne sono trascorsi da quando il Parlamento approvò la riforma deltitolo V della Costituzione, poi ratificata dal popolo italiano, il 7 ottobre dello stesso anno, con il referendumconfermativo.
Nel 2001 il Governo di centro destra, dopo la vittoria elettorale, invece di riprendere, quella modifica costituzionale preferì accantonarla per cimentarsi in un’ulteriore riforma chiamata “devolution”.
Seguirono 5 anni impiegati per produrre l’ennesimo testo costituzionale, poi bocciato dai cittadini con il referendum del 25 e 26 giugno 2006.
Se, nel 2001 fosse stato adottato subito il federalismo fiscale, peraltro in una congiuntura economica certamente più favorevole di quella attuale, oggi potremmo già apprezzarne gli aspetti positivi.
Invece, quella che discutiamo in queste ore, nel bel mezzo di una gravissima crisi economica e sociale, è una riforma portata in Parlamento senza che vi sia stata la previsione di alcun tipo di risorsa aggiuntiva. Anzi, il testo non contiene neanche l’ombra di un numero o di un’aliquota. E, badate bene, stiamo parlando di materia fiscale!Spero poi che nessuno si sorprenda del fatto che, per attuare ilfederalismo fiscale, saranno necessarie maggiori risorse.
Sul punto vorrei richiamare l’attenzione dei più distratti tra noi: per riuscire ad attuare il federalismo fiscale sarà necessario garantire alle diverse istituzioni, a tutti i livelli, le stesse risorse di cui hanno beneficiato finora. Mentre, ai territori che oggi sono penalizzati, con un rapporto squilibrato fra entrate tributarie prodotte e risorse trasferite, dovranno ottenere fondi aggiuntivi. Il risultato è chiaro: nel complesso il federalismo fiscale ci costerà molto di più, quantomeno nella fase di avvio.
Non potete negarlo per far partire il federalismo nei primi cinque anni servono più risorse. Poi l’effetto della riforma sull’efficienza e la lotta all’evasione inizierà a dare i propri frutti. Ammettete i 4 miliardi di euro che avete buttato per le vostre sciagurate scelte su Alitalia, oggi sarebbero stati utilissimi per avviare questa riforma..
Quando il centro sinistra approvò, nel 2001, la riforma del titolo V, la spinta principale veniva dalla constatazione dell’anomalo funzionamento dei diversi livelli istituzionali e dell’iniqua distribuzione delle risorse nel Paese.
Nonostante alcuni spunti importanti, l’attuazione della riforma è rimasta incompleta. Permane una confusione di ruoli fra le diverse realtà amministrative, con frequenti accavallamenti delle responsabilità fra Stato, Regioni, Province e Comuni.
E la conseguenza è che i cittadini e le imprese, che hanno la necessità di interloquire con la P.A., si trovano contro un impenetrabile muro di gomma che li fa rimbalzare tra i diversi uffici interessati. Un inestricabile labirinto di competenze, di norme, di cavilli.
L’esigenza di semplificare è, dunque, più viva che mai. Il Partito Democratico ha proposto, fin dall’inizio, che nel testo confluissero anche le norme sul funzionamento delle autonomie locali – la famosa Carta delle autonomie. Purtroppo non siamo stati ascoltati. E le regole, fondamentali, su “chi fa cosa” fra i diversi livelli istituzionali non ci sono. Questa mancanza si tradurrà in una grande difficoltà nello stabilire i vari “costi standard” dei servizi per stabilire il giusto fabbisogno di ogni territorio. Creare una Pubblica Amministrazione più efficiente è uno dei due obiettivi prioritari della riforma federale. L’altro è rendere più equa ed equilibrata la distribuzione e l’utilizzo delle risorse, che la Pubblica Amministrazione nel suo complesso raccoglie ed eroga.
Avvicinare il luogo in cui viene effettuato il prelievo fiscale a quello in cui le stesse risorse vengono impiegate per realizzare opere o per dare servizi incentiva il senso civico dei cittadini e aumenta la loro sensibilità nella lotta all’evasione fiscale e aglisprechi. Certo, per incentivare il senso civico servono norme fiscali semplici e chiare. Solo così il cittadino riesce a comprendere dove vanno a finire le tasse pagate. Nelle Regioni a statuto speciale, ad esempio, i cittadini sanno già oggi quanto resta nel territorio.
Purtroppo, la riforma che stiamo discutendo e votando non contiene questa semplificazione. Non chiarisce, inoltre, in che modo si intende affrontare lo squilibrio esistente fra le risorse assegnate alle Regioni a statuto speciale rispetto a quelle ordinarie.
Proprio la situazione anomala delle Regioni a statuto speciale crea situazioni di iniquità difficilmente spiegabili ai cittadini delle altre Regioni. E così assistiamo a fenomeni di vero disagio, che potrebbero addirittura sfociare inproblemi di ordine pubblico, nei territori di confine fra le Regioni a Statuto ordinario e quelle a statuto speciale.
Questa riforma riuscirà a produrre effetti benefici solo se metterà in piedi un sistema più chiaro, più semplice, più equo di quello attuale. Sul versante della riduzione degli sprechi sarà un’ottima arma nel momento in cui conterrà il principio secondo cui a una maggiore autonomia deve corrispondere una maggiore responsabilità. I due elementi dovranno essere inscindibili.
Per responsabilizzare, promuovere il senso civico e, a cascata, ridurre l’evasione fiscale sarà tuttavia indispensabile – ribadiamolo – che il federalismo fiscale contenga norme chiare e semplici che permettano al cittadino di capire dove vanno a finire i propri soldi.Il disegno di legge sottoposto alla nostra approvazione si muove nella direzione opposta.
Non semplifica, ma complica. Già oggi, il sistema fiscale italiano è fra i più complessi del mondo. E l’impressione è che, con le norme contenute in questo disegno di legge, la complicazione tenda ad acuirsi. Il contribuente, per capire dove andranno a finire i proprisoldi, versati con tasse e tributi, dovrà districarsi in un insieme di meccanismi incomprensibili per i non addetti ai lavori. Quanto più logico e ovvio sarebbe stato prevedere un unico tributo proprio per ogni livello istituzionale, in modo semplice e chiaro!
Ovviamente il tutto compensato da diversi meccanismi di compartecipazione e perequazione dei maggiori tributi nazionali a favore delle autonomie territoriali, in sostituzione dei trasferimenti erariali. Per una questione di semplificazione e trasparenza sarebbe stato utile almeno togliere il complicato meccanismo delle doppie addizionali e anche di non prevedere la novità delle aliquote riservate per le Regioni.
Tutti quei meccanismi che impediscono al cittadino di comprendere dove realmente vanno a finire le tasse versate sono i veri nemici del federalismo perché rendono impossibile l’identificazione delle responsabilità!
Faccio un esempio di semplificazione: i sindaci del Veneto stanno portando avanti una proposta semplicissima, che può essere attuata fin da subito, che chiede che ai Comuni venga riconosciuta, in sostituzione dei trasferimenti, una compartecipazione del 20% del gettito irpef prodotto dai rispettivi territori.
La proposta del 20% è modificabile, con una percentuale diversa, ma dobbiamo riconoscere che è un meccanismo semplice e di facile comprensione per il cittadino. Per quanto riguarda i Comuni ritengo sciagurato quello che il Governo ha fatto sei mesi fa con l’abolizione dell’ICI, prima casa, senza che questa sia stata compensata con adeguati trasferimenti statali.
Naturalmente tutto questo dovrebbe essere inquadrato nell’ambito di un Patto di stabilitàintelligente, equo e razionale. Molto più razionale di quello attuale che di fatto è uno strumento iniquo, bizantino e irrazionale. Proprio in questi giorni lo avete reso ancora più iniquo con le deroghe approvate a favore del Comune di Roma. Ho presentato alcuni emendamenti al testo al fine di prevedere un Patto di stabilità per gli enti locali equo e razionale. Mi auguro che le modifiche proposte vengano accolte.
Concludo Presidente,
oggi arriva in Aula questo disegno di legge che in sostanza, in tema di federalismo fiscale, non è altro che una cornice che limita gli ambiti di intervento e mette i paletti per i futuri decreti attuativi. Non ci sono scelte coraggiose. Si accontentano tutti, anche quei territori che già oggi sono privilegiati. Nessun numero, nessuna aliquota. Tutto è demandato a successivi decreti che saranno firmati dal ministro dell’Economia. Ministro del quale peraltro non abbiamo potuto sentire il parere.
Resta il timore che i decreti attuativi, se e quando arriveranno, non potranno stimolare quelle scelte che né il governo, né il Parlamento sono stati in grado di fare fino ad oggi. Resta, fondatissimo, il timore che l’intero meccanismo possa inevitabilmente incepparsi. Inutile negarlo: questo testo porta con sé una serie di contraddizioni che non siete riusciti risolvere perché in questi mesi siete stati occupati a tenere a bada le parti politiche della vostra coalizione, contrarie alla riforma, e lo avete fatto attraverso concessionidi tipo clientelare. Ricordo i 140 milioni di euro a favore di Catania, le deroghe al patto di stabilità per il Comune di Roma oltre al finanziamento eccezionale di 500 milioni di euro di alcuni mesi fa.
Se a questo aggiungiamo che avete voluto inserire nel testo del federalismo l’articolo che prevede l’istituzione di Roma capitale appare chiaro che questa riformaè frutto di una continua mediazione. Il federalismo può essere uno strumento per combattere le ingiustizie e le iniquità presenti nel nostro Paese, ma questo strumento può funzionare se viene costruito senza mediazioni irrazionali con effettiche moltiplicano le iniquità.
Concludo Presidente,
al nostro paese serve un buon federalismo fiscale. Temo che il testo prodotto non riuscirà a darcelo. Temo che già dai primi decreti attuativi i veti incrociati e la indisponibilità a cedere quei privilegi che alcuni territori nel tempo hanno consolidato, impediranno di fare le scelte necessarie all’interesse generale . Per il bene del nostro Paese spero di sbagliarmi!
Marco Stradiotto
Arnaldo
Gen 22, 2009 -
La lega continua far da palo in un imbarazzante silenzio e delega i suoi Sindaci a raccolta di firme (che ritengo una giusta causa)mentre i soldi dei contribuenti veneti volano per le casse sprecone di Roma e Catania…non dicevano”el leon magna el teron che l’è un sprecon”?…la biscia comincia a rivoltarsi…qualche striscione di Lega Ladrona prima o poi apparirà anche nel Veneto…Forza Marco!!!e Forza Sindaci!!!
mario pernechele
Gen 22, 2009 -
Ho letto l’intervento.
Tutto bene.
Ma al di là delle scaramucce tattiche, riusciremo a essere convincenti quando:
1. rispetto alle situazione autonomiste mettiamo dei paletti chiari >> la sicilia vale 5 volte l’insieme delle province autonome di Trento-Bolzano- Aosta; FVG e Sardegna hanno una percentuale che non supera il 40%.
2. Si chiarisca che tutte le prime realtà menzionate devono con la loro percentuale coprire anche le spese sanitarie (e non come nel caso della sicilia essere ulteriormente ripartite)
3. Si dica che il federalismo è un costo solo se si vuole mantenere un potere centrale così costoso, inutile. MA IL FEDERALISMO SERVE A RAZIONALIZZARE coem hai ben ricordato e come vuole l’Europa col principio diu sussidiaretà
4. Si abbia il coraggio, da sinistra (con un casarin folgorato dopo che ha rotto i c.. per na vita, non dovrebbere essere difficile) di proporre una struttura federale seria . A partire dal nostro partito…. l’unico in grado di smontare per ricomporre l’italia
Il resto sarà agonia e guerra civile e secessione. Dolce, magari, ma inarrestabile e invivibile per noi del nord. Prima ancora che per quelli del sud, abituati da un secolo e mezzo a sopravvivere a uno stato per lo più disastroso.
Un saluto
Mario Pernechele
Luigino Chemello
Gen 23, 2009 -
Ciao Marco
il tuo intervento fa un’analisi corretta, approfondita della situazione sul Federalismo.Contemporaneamente quando tu dici” i sindaci del Veneto sostengono l’assegnazione diretta ai comuni del 20% ecc( proposta concreta, semplice, valida)” non è il massimo. Altro sarebbe se tu potessi affermare ” I sindaci del PD, dal Piemonte alla Calabria, sostengono la proposta del 20%.
Il problema è che questo non avverrà mai. Allora si pone il problema nel PD di vedere se qualcuno ha il coraggio di sostenere delle posizioni di principio valide e giuste, ma che non sono condivise in altre parti d’Italia. Strauss leader bavarese della CSU, andava a Bonn a sostenere le tesi valide per la Baviera. A noi nel veneto , in Lombardia,nel Nord manca un leader che abbia il coraggio di raccogliere il consenso, su certe posizioni. Consenso che ci sarebbe e forte. Certo che finchè procediamo con le liste bloccate fatte a Roma, nel veneto non verrà fuori nessun leader, nessuno in grado di assumere posizioni nell’interesse del nostro territorio e diverse anche da quello che si sostiene a Roma. Le prossime elezioni europee saranno il primo banco di prova per vedere se nel veneto, qualcuno comincia avere i co…
Mario Tomasella
Gen 26, 2009 -
Ti ringrazio per avermi inviato il testo del Tuo intervento.
Sono d’accordo sull’introduzione del federalismo e su tutte le
Tue osservazioni,però a mio avviso manca una cosa importantissima.
In tutti i paesi dove il federalismo funziona esiste un governo
centrale autorevole che ha la capacità di legiferare perchè c’è un
pressidente che puo decidere, nel parlamento italiano vedo difficile
dare una soluzione alle varie diatribe che nasceranno tra i vari
gruppi federali.
Alla fine ci ritoveremo, con regioni provincie comuni più un’entita
federale che soprasiederà sulle varie competenze.
Si allontana così ancora di più l’individuazione dei vari
responsabbili di eventuali disguidi, con conseguente agravamento dei
costi, senza che nessuno paghi le conseguenze perche le competenze
saranno talmente sparpagliate che nessuno riuscirà venirne a capo.
Daltra parte, non si è sempre fatto così?
Distinti saluti
Mario Tomasella
Gustavo
Apr 3, 2010 -
Ho navigato un po’ fra alcuni blog che pretendevano di dare giudizi sommari e pregiudizialmente negativi nel tema scottante e quanto mai attuale del varo delle riforme ed in particolare della applicazione del federalismo fiscale al modello statale attualmente in uso in Italia.
Ho letto un cumulo di sciocchezze.
Ho quindi scritto in risposta ad un post di un blog queste note, che posto qui di seguito.
Quante inesattezze, pregiudizi, preconcetti ideologici dietro questa visione del federalismo fiscale.
Andiamo per ordine a smontare questo cumulo di sciocchezze.
Punto Primo
Il federalismo fiscale è già una realtà in questo paese, in regioni come la Sicilia per esempio, che dispongono quinidi di maggiore autonomia rispetto alle altre regioni.
Si tratta solo di riequilibrare una sperequazione oggi in atto fra la gestione di regioni cosiddette a statuto ordinario e di quelle a statuto speciale.
Punto Secondo
Non è affatto vero che vi sarà una maggiore imposizione ed un relativo aumento della pressione fiscale, poichè, per le stesse competenze allargate in senso autonomista, i contributi erariali attualmente destinati allo stato centrale e che vengono successivamente redistribuiti alle regioni ovvero usati direttamente dallo stato, passano semplicemnete di mano: dallo stato alle regioni, appunto.
Anzi è prevedibile un buon risultato di riduzione del prelievo fiscale in quanto, allo stato attuale, con i perversi meccanismi di prelievo e di redistribuzione attualmente in uso, processo in cui manca una corrispondenza fra quanto versato e quanto ritornato in loco, si disperde una buona parte di questa tassazione, “svanita” in questo andirivieni dei danari pagati in tasse e destinati alla erogazione di servizi essenziali ai cittadini.
Un risparmio quindi, non un aggravio di spese: è ineludibile.
Punto Terzo
Il cittadino-contribuente avrà maggiormente vicino a se il soggetto che preleva le tasse ed eroga i servizi, potendo esercitare nei suoi confronti un maggiore controllo della spesa come del prelievo ed ottenere così una maggiore forza contrattuale nella destinazione di tali danari, anche nel senso della scelta dei servizi, della loro quantità e qualità, come del loro cattivo uso od abuso.
Punto Quarto
In questa ottica è chiaro che tutti ci guadagneranno.
Verrà inoltre inserito nel sistema della erogazione dei servizi e della gestione e del contollo del danaro come della spesa
pubblica una competizione positiva, una inusitata (per l’Italia) concorrenza fra le regioni al virtuosismo gestionale, migliorando grandemente l’efficenza delle macchine burocratiche e del governo delle genti e dei territori.
Non è secondario inoltre il convncimento che questo sistema aumenterà grandemente la diretta partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, rompendo quel “difetto di partecipazione” che spesso e volentieri, viene chiamato in causa per identificare lo strano rapporto stato-cittadino entro cui, il cittadino paga le tasse e poi si disinteressa assolutamente di come i danari prelevati fiscalmente, vengano utilizzati, grazie anche alla melina oscura che avvolge i passaggi di mano della spesa pubblica italiana negli andirivieni fra soggetto contribuente e soggetto destinatario dei servizi, che poi sono la stessa persona.
Ultimo punto
Ma dove è scritto, nel regno delle democrazie occidentali civili ed avanzate cui l’Italia pretende di appartenere, che le riforme varate in questo paese, devono essere condivise oltre la maggioranza dei consensi del parlamento?
Le riforme devono risponde a criteri di giustizia sociale ed economica, efficenza nella erogazione dei servizi, diminuzione della pressione fiscale su cittadini, aziende e famiglie e garanzia nel diretto controllo da parte di contribuisce alla spesa e nel governo della spesa stessa.
Questo è il miglior criterio di condivisione e di consenso rispetto alle riforme di cui stiamo trattando.
Il resto è vecchiume antagonistico senza arte ne parte che impedisce da decenni l’adeguamento del sistema stato al paese reale.
Maggiore efficenza nel prelievo e nella spesa, controllo diretto, disgiunzione del governo delle variegata realtà di cui è composto il nostro paese.
Mi spiego meglio.
Attualmente, nel regime di spesa e della fiscalità, come nel governo delle finanze pubbliche in generale, il governo emana provvedimenti esecutivi unici, che possono avere invece impatti multipli e profondamente differenti, proprio in virtù delle notevoli differenze che insistono nei territori e fra i territori italiani.
Quello stesso provvedimento governativo, teso alla gestione delle finenze e della spesa pubblica, attualmente può avere un effetto in Veneto, un effetto diverso nel Lazio e addirittura l’effetto opposto in Sicilia.
Come è possibile non comprendere queste semplici verità?
Il nostro è un paese ricco di differenze, e sono queste stesse differenze a fare la ricchezza dell’Italia, quella stessa ricchezza che gli altri paesi ci invidiano e che apprezzano, a seconda dei casi.
Ma queste differenze vanno governate in modo differente, se si vuole rendere un servizio degno di tale nome ai cittadini-contribuenti.
E l’unica risposta a questa realtà, è il federalismo.
Ma come si fa a non capirlo?
Gustavo Gesualdo
alias
Il Cittadino X
PIPPO
Set 20, 2010 -
il federalismo si può fare quando la ricchezza del paese e distribuita in modo uguale da nord a sud, allora si possiamo parlare di federalismo, ci siamo chiesti perchè la lega vuole a tutti i costi il federalismo? i parlamentari della lega una volta erano italiani, adesso sono italo-padani , del resto la padania si trova in italia…………. VIVA L’ITALIA